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Immagine del redattoreAria Shu

LE LAMPADE DI DENDERA, EGITTO, SONO LA PROVA CHE GLI ANTICHI EGIZI CONOSCESSERO L’ENERGIA ELETTRICA?

Aggiornamento: 5 dic 2023


Uno dei templi meglio conservati in tutto l‘Egitto è il tempio dedicato alla Dea Hathor, situato a circa 2.5 chilometri a sud-est della città di Dendera (1).

Sotto il tempio vennero rinvenute ampie cripte che, ripulite dalla sabbia, mostrarono stanze con pareti ricoperte da lastre di pietra scolpite. Le stanze apparterrebbero al primo nucleo del tempio, risalente al XV secolo a.C., mentre l'attuale costruzione, che ad esse si è sovrapposta, è di epoca tolemaica e romana (2).

Nello specifico, oggi diamo attenzione a degli importantissimi bassorilievi con geroglifici, ossia alle cosiddette LAMPADE DI DENDERA, scoperte nel 1857 dall’archeologo francese Auguste Mariette. Queste misteriose raffigurazioni sono state interpretate, dai sostenitori della cosiddetta archeologia misteriosa o pseudoarcheologia, come delle vere e proprie lampade a incandescenza, simili ai TUBI DI CROOKES per l’emissione di raggi X. In particolare, questi ultimi sono apparecchi dotati di tubi a vuoto di vetro, a forma di cono, che presentano tre elettrodi: un anodo e due catodi, in grado di emettere radiazioni.

Un confronto tra la lampada di Dendera e il tubo di Crookes.

Un dispositivo che venne inventato circa dieci anni dopo la pubblicazione dei disegni di Dendera da parte del suo scopritore Mariette, citato in precedenza (3).

A questo punto la domanda mi sorge spontanea: ma chi ha dato il via a questa misteriosa interpretazione? Da dove è nata?

Secondo alcuni studiosi il primo a identificare gli oggetti della raffigurazione in questo modo sarebbe stato il celebre fisico e astronomo inglese J. Norman Lockyer ricordato sia per la scoperta dell'elio sia per aver fondato la prestigiosa rivista scientifica Nature. In particolare nel 1894 egli disse appunto che il bassorilievo in questione rappresentava delle lampade a incandescenza simili ai tubi di Crookes documentando, così, le conoscenze degli antichi Egizi sull'elettricità (4) (5).

Il fisico e astronomo inglese J. Norman Lockyer

Dopo di lui si sono susseguiti altri sostenitori che diffusero questa spiegazione fino ai giorni nostri.

Ma entriamo di più nel dettaglio, diciamo nei particolari della rappresentazione.

1. Dal punto di vista dell’archeologia misteriosa, il GAMBO DEL FIORE DI LOTO sarebbe un cavo elettrico di alimentazione (6) (7) e poteva servire a dare potenza alla “serpentina” dentro al tubo (8).

Il gambo del fiore di loto.

2. Come potete notare dall’immagine, la “lampada” è sostenuta dalla rappresentazione del simbolo chiamato ZED (o Djed) (9), il quale potrebbe essere un componente elettrico che ricorda i moderni isolatori ad alta tensione (10).

Un confronto tra un isolatore per medie tensioni e lo Zed.

3. In definitiva le lampade sarebbero una prova “schiacciante” per dimostrare che gli Egizi conoscessero l’ENERGIA ELETTRICA, ma anche per capire come fossero riusciti a lavorare dentro a luoghi completamente privi di luce, senza lasciare traccia di fuliggine (11).


Giunti a questo punto vi chiedo di fare uno SFORZO MENTALE.


Proviamo per un momento ad allontanarci dal nostro paese, dalla cultura con cui siamo cresciuti e, con la mente, andiamo indietro nel tempo per immergerci nell’antico Egitto dove gli artisti avevano un modo molto diverso dal nostro di stilizzare gli oggetti nell'arte (12).


Riesaminiamo insieme i dettagli visti pocanzi ma da un ALTRO PUNTO DI VISTA.


A. Come sostiene l’archeologo subacqueo ed egittologo Marco Chioffi, che da anni si dedica allo studio dell'antico Egitto e della sua lingua, in alcuni contesti il determinativo (13) del FIORE DI LOTO con un serpente all'interno, insieme al determinativo della pianta della casa, stanno ad indicare: il santuario, la cappella o il tempio.

Altra simbologia che ci può fornire degli indizi sulla comprensione del bassorilievo è che il SERPENTE che emerge dal bocciolo di loto per gli Egizi simboleggiava talvolta l’emergere dalle acque del Grande Spirito della vita come un fiore sbocciante. Il loto rappresenta una forma del Dio Supremo. Inoltre non dimentichiamo che il serpente, sempre in questa cultura, può assumere molteplici significati. Ad esempio poteva essere il segno distintivo del non-umano, creatura primordiale che vive nelle profondità delle acque e della terra, avvolto dal mistero, ostile ma anche saggio; oppure era considerato come custode del mondo sotterraneo; o nemico del sole, che personifica i poteri delle tenebre, ecc. (14)

Il gigantesco serpente Apopi tenuto a bada dal Dio Atum.

B. La presenza del Pilastro ZED (15), "l'isolatore" su cui poggia la "lampada", rievoca una cerimonia molto importante compiuta durante i rituali del Giubileo regale in cui il sovrano, assistito dai sacerdoti, innalzava un grande pilastro simbolico della rinascita di Osiride (16).


C. Per gli egittologi, secondo la cultura dell’epoca questo bassorilievo raffigura il Dio Harsomtus, sotto forma di serpente, che esce da un fiore di loto. Di solito questa scena era rappresentata alla prua di una chiatta, ma nel caso della lampada di Dendera può considerarsi una variazione di questo motivo, mostrando la divinità all’interno di un contenitore ovale chiamato hn, che potrebbe rappresentare l'utero della Dea Nut (17) (18).

Un esempio di un serpente che esce dal fiore di loto.
Un altro bassorilievo presente nel Tempio. Qui i serpenti sono all'interno di un contenitore ovale.

Quindi, riprendendo dal punto A la figura del serpente primordiale che nasce da un fiore di loto, esso è un MITO EGIZIO conosciuto come anche il sostegno è un simbolo ricorrente nell'arte egiziana, raffigurante la spina dorsale di Osiride. La scena dovrebbe pertanto rappresentare la costruzione di due santuari primordiali.


Poi c’è un altro aspetto che vorrei sottolineare, che riguarda il celebre fisico e astronomo inglese J. Norman Lockyer, sopra citato. È stato veramente lui il primo a sostenere che degli oggetti presenti nel bassorilievo sono lampade? Ebbene pare che non sia proprio così.

Nel 1894 pubblicò The dawn of astronomy, un libro sulla storia dell'astronomia in cui si occupava anche di un bassorilievo del tempio di Dendera, non quello delle lampade ma quello raffigurante lo ZODIACO. Quindi da dove è nata l’interpretazione delle lampade?

Nel capitolo XVII lo studioso propone l’ipotesi (riprendiamo il punto 3, vedi sopra) che per creare i bassorilievi venissero usati giochi di specchi per guidare la luce solare attraverso i corridoi, permettendo così agli artisti di non usare fumose torce o lucerne ad olio. Questo spiegherebbe l'assenza di tracce, quindi di prove, di fuliggine sui soffitti della maggior parte delle tombe egizie. E infine Lockyer osserva: “(L'assenza di fuliggine) è così evidente che il mio amico M. Bonriant, mentre discutevamo di questo a Tebe, suggerì SCHERZOSAMENTE la possibilità che la luce elettrica fosse nota agli antichi Egizi" (19).

Riproduzione di una lampada di Dendera secondo l'ottica dell'archeologia misteriosa.

A prescindere che sia stata una battuta dello studioso poi scambiata per affermazione seria, quello che dico sempre è che noi oggi, in una società sempre più veloce, troviamo più facile ed immediato “leggere” i reperti e gli oggetti di un’epoca lontana sulla base del nostro background culturale. Sarebbe invece più faticoso, e quindi più lento, abbandonare i nostri punti di riferimento.


Alla prossima.

Aria Shu


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Note dell’articolo:

(5) Questa informazione la si può tranquillamente reperire nel sito di Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Tempio_di_Dendera

(13) È un ideogramma che fornisce al lettore il significato generale di cosa è scritto (https://it.wikipedia.org/wiki/Geroglifici_egizi#:~:text=Il%20terzo%20segno%20grafico%20%C3%A8,implica%20un%20verbo%20di%20movimento. )

(18) Wolfgang Waitkus, Die Geburt des Harsomtus aus der Blüte Zur Bedeutung und Funktion einiger Kultgegenstände des Tempels von Dendera, in Studien zur Altägyptischen Kultur, vol. 30, 2002, pp. 373-394 (https://www.jstor.org/stable/25152877)



Fonti articolo:

-Wolfgang Waitkus, Die Geburt des Harsomtus aus der Blüte Zur Bedeutung und Funktion einiger Kultgegenstände des Tempels von Dendera, in Studien zur Altägyptischen Kultur, vol. 30, 2002, pp. 373-394 (https://www.jstor.org/stable/25152877)



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