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Immagine del redattoreAria Shu

NELLA REGIONE DI TOHOKU, IN GIAPPONE, SBUCANO ANTICHE STATUE CON “OCCHIALI DA NEVE” E STRANI DISEGNI SUL CORPO. FORSE SONO ANTICHI ASTRONAUTI?

Aggiornamento: 13 feb



La prima volta che vidi le immagini di queste statuette ammetto che un po' mi fecero sorridere, forse perché mi ricordavano quei fumetti dove i protagonisti sono degli INSETTI dall’aspetto umanoide vestiti con tute spaziali. Eppure, nonostante le mie contorte fantasie, a tutt’oggi esse rimangono ancora un mistero.



Esse si chiamano dogū (土偶) e sono delle statuine di terracotta risalenti al periodo Jōmon (10.000 a.C. - 300 a.C.) che hanno caratteristiche umane per lo più femminili. In genere sono alte venticinque centimetri e ne sono state trovate circa 20.000 disseminate nell’isola di Honshu, presso la regione di Tohoku, in Giappone, anche se in buona parte sono state danneggiate (1).

Le prime rappresentazioni sono molto semplici, poiché si presentano tozze e spesso prive di arti superiori, somiglianti ad altri oggetti del NEOLITICO, come ad esempio la Venere di Willendorf, che di solito raffigurano donne incinte (2). Successivamente, intorno al 4000 a.C. iniziarono ad avere le braccia, gambe e teste e, a partire dal 3000 a.C., i volti erano completamente formati. In particolare vi sono delle sculture con la “TESTA A CUORE” (vedi figura sotto n. 2) sopra ad un corpo cruciforme con incisioni di semplici decorazioni, che evidenziano la parte del ventre. Tuttavia vi erano diverse varianti a seconda del luogo del loro ritrovamento (3). I dogū hanno le forme più svariate: ce ne sono con le corna, con la testa piatta o triangolare, con le gambe arcuate, che indossano corsetti o ginocchiere, che reggono vasi (4). È facile comprendere, quindi, che con il PASSARE DEL TEMPO, i motivi decorativi stavano diventando sempre più elaborati, mentre i tratti femminili si erano talmente attenuati al punto da portare alcuni studiosi a definire che alcuni dogū non avevano un genere (5).


Alcune tiologie di dogū (da sinistra a destra): 1."Venere" di Tanabatake (2500-1500 a.C.); 2. dogu con testa a cuore, 2000-1000 a.C.; 3. dogu gufo (2000-1000 a.C.); 4. Dogu dagli occhiali (2000-1000 a.C.).

Ciò può essere chiaramente osservato nelle tipologie successive di dogū, presenti nel sito di Kamegaoka, furono rappresentati con "OCCHI STRALUNATI" e proporzioni del corpo esagerate (6) (vedi figura sopra n. 4). Essi sono chiamati Shakōki dogū 遮光器土偶 (o "dogū con OCCHIALI DI NEVE"), portano questo nome proprio per la presenza di oggetti che sembrano enormi occhialoni tondi che ricordano quelli di protezione dal sole nella neve. Si presentano come una figura pesante e dall’aspetto umanoide anche se riportano strani motivi e disegni lungo il corpo. Quelle che possiamo considerare mani e piedi non sono definite e anzi spesso sono prive di una o entrambe di esse.


A che COSA SERVIVANO queste statuette?


Ancora oggi il dibattito è aperto e per questo vi sono diverse teorie. Ne cito qualcuna per darvi un’idea.

1. Come abbiamo appena visto alcuni dogū hanno caratteristiche femminili molto evidenti, che avrebbero potuto rappresentare dei rituali di fertilità ma anche di protezione per le donne incinte e garantire un parto sicuro (7).

2. Alcune statuette erano prive delle parti del corpo e si ipotizza che fossero destinate ad auspicare la guarigione di qualcuno. In particolare la persona che si amputava una parte del corpo problematica, lo faceva anche alla scultura come se si liberasse di un malessere non solo fisico ma anche emotivo (una sorta di bambola voodoo curativa) (8).

3. Diverse sculture sono state trovate nelle tombe il che rafforzerebbe l'idea di rinascita quando si accompagna una persona morta nel suo viaggio attraverso l'Aldilà (9).

4. Come ho scritto poc’anzi molti dogū sono stati ritrovati frantumati. A tal proposito, una scoperta ricorrente, soprattutto legata alle pratiche di sepoltura, era la loro frantumazione prima di far riposare le persone. Tuttavia, sono trovati anche nelle abitazioni generalmente intatti, suggerendo che forse avevano un uso diverso (10).

5. Un'interpretazione comunemente condivisa è che i dogū, fossero usati dagli sciamani come strumenti per incanalare poteri magici ed eseguire rituali associati alla fertilità e al ciclo della vita e della morte (11).

6. Secondo le teorie di Shirai Mitsutarō, un membro fondatore della Tokyo Anthropological Society, queste bambole di terracotta non erano altro che giocattoli, immagini religiose o semplici ornamenti.

 

Esempi di Shakōki dogū.

Infine un’altra ipotesi molto distante dall’approccio archeologico, ma condivisa dai teorici degli ANTICHI ASTRONAUTI, è che quei dogū chiamati Shakōki dogū (sopra citati) siano stati in realtà delle rappresentazioni di antichi alieni entrati in contatto con la nostra specie. Una supposizione che si basa su segni e caratteristiche presenti sull’intero corpo delle statuette. Infatti alcuni aspetti rappresenterebbero:  

A. un casco provvisto di visiera sagomata per schermare il passaggio della luce solare;

B. un filtro per la respirazione all’altezza della bocca;

C. un collare di collegamento tra il casco e la tuta;

D. una tuta spaziale;

E. piccole tenaglie manipolatrici montate su teste snodate, al posto delle mani;

F. valvole di raccordo per tubi situate sul petto della tuta (12).

Questi elementi sarebbero, quindi, da prova dell'antica presenza di civiltà extraterrestri sul nostro pianeta.



Rispetto a queste caratteristiche appena esposte è ovvio che gli archeologi non sono in grado di dare una spiegazione per ogni simbolo ma comunque hanno proposto un’altra versione dei fatti. Secondo l'ARCHEOLOGO Philippe Dallais, le incisioni sul corpo dei Shakōki dogū, che i teorici intendono come parti della tuta spaziale, rappresentano dei tatuaggi. Mentre la “VISIERA SAGOMANTA” potrebbe rappresentare gli occhi dei neonati, oppure una maschera per diminuire l'esposizione ai raggi solari, simili a quelle presenti fin dall’antichità tra gli Inuit (13) un piccolo popolo dell'Artico. Infatti, il sito in cui sono state trovate queste enigmatiche statuette, durante l’inverno, subisce pesanti nevicate (14).


Maschere degli Inuit per diminuire l'esposizione ai raggi solari.

A seguito della nostra carrellata di ipotesi, alzo la mano e vorrei dire la mia. Nei miei articoli precedenti io non ho mai negato l’esistenza degli alieni, che siano antichi o meno (d’altronde che posso sapere del mondo e dell’universo?). Però c’è un però.  

A fronte delle supposizioni elaborate dai teorici degli antichi astronauti, a mio avviso, hanno analizzato SOLO UN TIPO di manufatto escludendo tutti gli altri, accennati in parte precedentemente. Per provare che l’essere umano ha avuto uno o più contatti con antichi alieni forse bisognerebbe analizzare anche altri esempi all’interno dello stesso sito archeologico. Inoltre, altro errore secondo me è quello di “tagliare fuori”, oserei dire quasi o completamente, il CONTESTO culturale di riferimento (quindi l’ambito religioso, storico, artistico, ecc.).


A questo punto mi chiedo: ma perché lo fanno? Forse per CONVALIDARE le proprie teorie? Sarebbe un modo di analizzare i reperti che non porta a svelare i misteri ma anzi li infittisce.

D’altro canto interpretare antichi reperti con la cultura di oggi o meglio con quello che abbiamo appreso nel corso della nostra vita, è un atteggiamento etnocentrico, un po' tipico delle persone occidentali. Il rischio di assumere questa tendenza, e di guardare solo quella tipologia di oggetti, è di rimanere chiusi in una scatola, che non ci permette di guardare “OLTRE”.



Alla prossima.

Aria Shu.

 



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Note dell’articolo:

(10) Articolo online di Marty Borsotti: https://www.wasshoimagazine.org/blog/discovering-japan/dogu

(11) Articolo online di Marty Borsotti:  https://www.wasshoimagazine.org/blog/discovering-japan/dogu

(13) Le montature non presentavano lenti, ma erano fatte interamente di legno o ossa di animali, di solito di tricheco, con una fessura centrale per poter vedere.

 


 Fonti articolo:

 

 

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